Tasicci e Danzanabbo
Un tempo c’era un posto dal quale mi piaceva osservare il sole, mentre si immergeva nella terra, laggiù all’orizzonte: era un albero, spoglio, la cui forma ricordava la figura di un uomo con le braccia protese all’indietro nell’intento di portare qualcosa sulle spalle. Un albero senza vita, diceva la gente, ma io credevo di no, e non capivo come il suo tronco avesse potuto raggiungere quelle grandi dimensioni: nel luogo in cui vivevo persino un filo d’erba stentava a sopravvivere a lungo! Certe volte, mentre ero a cavalcioni delle sue ruvide spalle, credevo cercasse di parlarmi, ma io non riuscivo a capirlo: forse era troppo vecchio e stanco, oppure parlava una lingua a me sconosciuta. La gente lo chiamava “l’Albero dei Corvi”, perché spesso quegli uccelli neri e rumorosi si radunavano sui suoi rami, ma per me era il “Vecchio Saggio”, perché pensavo sapesse ed avesse visto tantissime cose, quante nessuno può immaginare.Da noi tutto sembrava ripetersi metodicamente, da sempre cadenzato dalla luce del sole: gesti, azioni, lavori... A volte mi accucciavo un po’ in disparte ad osservare la vita monotona e prevedibile del villaggio: uno dei miei divertimenti era immaginare la scena che sarebbe avvenuta subito dopo e raramente qualcuno riusciva a stupirmi combinando qualcosa di insolito. Ispiratore dei miei divertimenti era il nonno, che aveva davvero molta fantasia e grazie alle sue storie riuscivo ad inventare sempre cose nuove da fare; purtroppo, però, lui era considerato uno Iatupo, “uomo senza mente”, e i miei genitori non volevano che andassi a trovarlo troppo spesso: dicevano che le sue storie assurde mettevano in testa strane idee! Io mi chiedevo continuamente il motivo del loro severo giudizio sul nonno e dovetti tormentare la mamma per un giorno intero, perché mi raccontasse la sua storia: era diventato “uomo senza mente” molti anni fa, quando, a seguito di una stagione particolarmente arida, l’acqua venne a scarseggiare in maniera preoccupante; con il passare del tempo la situazione andò anche peggiorando e la siccità strinse sempre più in una morsa infernale tutto il villaggio. Finalmente, dopo un tempo interminabile, l’arrivo della pioggia pose fine a quel brutto periodo, ma le conseguenze dell’incessante arsura furono drammatiche per il villaggio, che finì nella completa desolazione e disperazione. A quel punto il nonno non volle più restare in un posto tanto ostile e decise di andarsene via, alla ricerca di un luogo migliore in cui stare, ma, dopo un po’ di tempo, un tardo pomeriggio il nonno venne ritrovato accasciato ai margini del villaggio, completamente esausto che farneticava qualcosa di insensato. La gente inizialmente volle a dare ascolto alle sue parole, ma erano così incredibili, che furono considerate solo frutto di una mente provata dalla fatica e dalla sete, e da quel momento il nonno fu ritenuto uno Iatupo. Il suo strampalato racconto parlava di un luogo talmente ricco d’acqua, che la si poteva usare per gioco! Da noi, invece, era tanto preziosa quanto rara: la fonte di tutto, della nostra stessa sopravvivenza ed era impensabile che qualcuno potesse sprecarla per gioco. Gli anziani, comunque, sentenziarono e chiusero definitivamente l’argomento: nessuno doveva più parlarne né tantomeno fare domande al riguardo. “Le troppe domande” dicevano gli anziani “mettono disordine nella testa e distolgono dai lavori che ognuno di noi deve assolvere all’interno del villaggio”. Io, però, quando potevo, chiedevo al nonno di raccontarmi di quel luogo incredibile, ma sfortunatamente la sua memoria vacillava ogni giorno di più ed ottenevo solo piccoli frammenti che cercavo con pazienza di unire per ricostruire l’intera storia. Un giorno, quando fossi riuscito a completare il racconto, sarei andato a cercare di persona quel mitico posto, a cui diedi il nome di Danzanabbo, “tanta acqua”… A volte mi prendeva una gran smania di sapere e mi rendevo conto di essere davvero insistente con il nonno, ma questo non lo disturbava e, quando non sapeva cosa dire, mi sorrideva ed aggiungeva: “Le domande sono come i passi di un uomo: possono girare intorno, cambiare continuamente direzione per non andare da nessuna parte, oppure possono portarti lontano”. Io credo che sia vero, ma penso valga anche per le risposte che ti vengono date! Quando poi riuscivo ad ottenere un nuovo frammento del racconto, mi piaceva andare a “ricomporlo” e a riordinarmi le idee presso il “Vecchio Saggio”, il mio