desiderio…”. Immediatamente, quasi si fossero materializzati dal nulla, arrivarono i corvi che presero posto sui rami del “Vecchio Saggio”. L’albero, a questo punto, rivolgendosi loro con tono autoritario, pronunciò queste parole: “Andate e dite alle nuvole di cambiare direzione, di portare il loro prezioso contenuto verso il villaggio di Tasicci”. Io vidi i corvi prendere rapidamente il volo verso il cielo: sicuramente andavano a consegnare l’incredibile messaggio alle nuvole! Dopo un po’, infatti, all’orizzonte si iniziò ad intravedere un fronte nuvoloso che avanzava rapidamente verso il villaggio, una brezza umida invase le mie narici penetrando fin dentro il corpo, poi una goccia all’improvviso colpì la mia guancia e mi fece fremere, schizzò e scivolò sulla mia pelle disegnando una linea lucida. Iniziò a cadere una pioggia copiosa ed un forte odore di terra bagnata saliva dal suolo e si sprigionava tutto intorno. I miei piedi si trovarono a giocare con il fango… Sentivo le urla di gioia della gente di Tasicci, che, presa dalla foga e dalla eccitazione, iniziò a raccogliere con qualsiasi tipo di contenitore la pioggia. Ero felice, ma qualcosa mi disturbava e mi venne in mente quel desiderio egoista, dettatomi dalla rabbia e dall’invidia, che avevo espresso poco prima e rimasi in preda all’angoscia. Tornai dal “Vecchio Saggio” tutto trafelato e gli chiesi: “Cosa capiterà ora all’altra gente?”. Lui mi rispose: “E’ semplice, piccolo amico mio! A questo punto la situazione è capovolta: a voi l’acqua e a loro la sete.” Rimasi sbigottito per un momento, ma poi aggiunsi: “Loro non sono abituati a vivere nella sete: non riusciranno a cavarsela!”. Il vecchio albero allora mi disse: “Oramai, caro ragazzo, questa è la situazione ed io non posso fare più niente: trascorrerà moltissimo tempo, prima che le nuvole accettino di cambiare di nuovo la loro direzione”. Mi allontanai confuso e frastornato; un senso di colpa mi assalì e non osavo pensare a cosa sarebbe capitato agli abitanti di Danzanabbo. Passarono anni da quella prima precipitazione e da allora la pioggia non smise più di visitarci regolarmente, così il paesaggio qui intorno cominciò a poco a poco a cambiare: il terreno arido venne sostituito da un manto erboso e un po’ ovunque nacquero piante ed arbusti verdi; solo il “Vecchio Saggio” rimase immutato. Non vi era giorno, però, che io non pensassi al destino di quella povera gente, alle condizioni in cui dovevano trovarsi e, poiché il senso di colpa non mi lasciava più in pace, un bel giorno decisi che era giunto il momento di ritornare da quelle persone, di andare a vedere… Mi trovai a ripercorrere nuovamente la strada per Danzanabbo, diviso tra due sentimenti: il desiderio di spronare il passo, per raggiungere in fretta il luogo, e quello di rallentarlo per paura di quello che avrei trovato. Arrivai nei pressi del grande muro, ma tutto era diverso: non c’era erba attorno, solo sterpaglie secche; il muro stesso presentava dei tratti crollati e lo si poteva tranquillamente oltrepassare attraverso uno dei suoi varchi. Danzanabbo era immerso in uno strano silenzio e sembrava tutto un altro posto da quello che ricordavo, anzi, mi sembrava la Tasicci di tanto tempo fa. Incontrai degli abitanti che mi guardavano con curiosità e stupore ed uno di loro mi bloccò per un braccio e mi chiese: “Da dove vieni, ragazzo?”. “Da Tasicci - gli risposi - ma cosa è successo a questo posto?”. Con un amaro sospiro l’uomo mi spiegò: “Qui non piove più: la terra si è inaridita e con essa anche le nostre stesse esistenze.” L’interesse per il mio arrivo, nel frattempo aveva attirato un nutrito gruppo di persone e tra loro riconobbi quel personaggio che mi aveva cacciato la prima volta: non aveva più quell’aspetto fiero e deciso, sembrava dimesso ed il suo viso si era abbruttito. “Ti ricordi di me?” gli chiesi io, indicandolo con la mano. Lui mi studiò il viso per un po’, poi abbassando lo sguardo rispose: “Sì, ti ho fatto cacciare da qui molto tempo fa”. Ed io: “Vuoi cacciarmi ancora?”. “No, ma forse è meglio che tu ritorni da dove sei venuto: qui non c’è più niente per cui restare.” Effettivamente la situazione si era davvero capovolta: loro erano diventati come noi molto tempo fa e forse stavano anche peggio! Avrei potuto girare le spalle e tornarmene al mio villaggio, diventato oramai ricco e florido, e lasciare quella gente alla loro povera esistenza, ma a volte il destino ce lo costruiamo noi, con le nostre azioni e con le nostre scelte.
Walter Moreno Ambrosi - Creazioni Artistiche - www.morenoambrosi.it - morenoambrosi@tin.it